A seguito delle recensioni dei libri-biografia “Heifetz, Un imperatore solo” e “Menuhin, l’Orfeo tragico”, ho ricevuto richieste di approfondimenti da parte di alcuni utenti del sito; qualcuno ha suggerito l’intervento dello scrittore e Alberto Cantù ha gentilmente accettato l’invito mio e della Casa Editrice Zecchini.
Ecco il suo articolo di risposta:

“Alcuni lettori hanno osservato, in due miei libri – Jehudi Menuhin, l’Orfeo tragico e Jascha Heifetz, l’imperatore solo (Zecchini) – un differente approccio, anche emozionale, e di “trattamento” della materia fra l’uno e l’altro interprete.
Evidenzierei il lato in comune, caratteristico peraltro dell’intera collana “Grandi violinisti” che porta in appendice una Discografia se non esaustiva (impossibile) molto ampia.
E’ il riscontro del violinista, l’analisi del suo mondo, la focalizzazione dell’artista attraverso l’esame del disco, dato “oggettivo” e possibilità di riscontro (e di discussione) per chi legge.
L’approccio diverso.
Menuhin parla per bocca degli dei che troppo presto – dagli anni Cinquanta – si riprendono i loro doni.
Menuhin “parla” di sé enfant prodige e dagli interessi a tutto campo, coinvolto nel politico, nel sociale, auspice di un mondo ideale e buono.
La discografia, molto ampia, perde interesse a partire da quei fatidici anni Cinquanta mentre cresce la “figura pubblica” (anche malinconicamente) dell’uomo e dell’artista.
Ancora. Menuhin ha una formazione non ortodossa (le famose scale ovvero non scale su cui l’interessato insiste sin troppo).
Heifetz è un terremoto, un fenomeno epocale secondo soltanto (strumentalmente) a Paganini.
La sua formazione (Auer) e il suo essere didatta (scale a più non posso) è ortodossissima. Dal 1911 al 1972 suona praticamente con la stessa bravura, tanto che tutti i suoi dischi (o quasi: i lamentati difetti nella musica da camera; nel fare duo) sono importanti.
Se Menuhin si racconta, e lo studioso verificherà i racconti, i demoni di Heifetz rendono l’uomo un voluto mistero, che lo studioso cerca di indagare.
In Heifetz il contesto americano è primario, come in Toscanini, in Menuhin domina l’Europa.
Quanto alle supposte (e comunque lecite) preferenze dello scrivente, direi piuttosto che in arte non ci sono medaglie d’oro, d’argento e di bronzo come negli sport. Menuhin è unico nello storico Concerto in re maggiore di Paganini con Monteux così come Heifetz in brani di Sarasate o Bruch.
I libri evidenziano le differenze.
Sarà così anche per il prossimo artista della collana, David Oistrakh, da inserire nel mondo sovietico che è al tempo stesso promotore di fuoriclasse e suo aguzzino e per Nathan Milstein, lo spirito più libero e geniale fra gli artisti d’ogni tempo.”
Alberto Cantù

Musicologo e giornalista, Alberto Cantù insegna Storia della Musica al Conservatorio di Como ed e’ critico musicale de “Il Giornale”, per cui ha scritto dal 1976.
Collabora a riviste specializzate tra cui “Musica” e “Amadeus”(e’ inoltre tra i fondatori del trimestrale “Civilta’ Musicale”), ad istituzioni, universita’, teatri italiani e stranieri e la Rai.
Studioso delle fasi storico-estetiche del violino e di drammaturgia musicale, e’ componente il “comitato scientifico del Civico istituto di studi paganiniani” di Genova, dell'”Istituto di studi pucciniani” di Milano, del “Centro Studi Felice Romani” di Moneglia, del progetto “De Musica” dell’IRRSAE di Genova.

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